Tra i tanti ricordi che ho di coloro che si rivolgono a me anche per ricevere un aiuto psicologico, ho quello di una donna anoressica, la quale durante il colloquio ad un certo punto mi disse che “sorridevo troppo”!!

Naturalmente dentro di me pensai: “per fortuna che non mi ha visto ridere per le battute di spirito che talora vengono fuori in psicoterapia ”! Scattò subito la necessità di interrogarmi sull’umorismo … quanto potesse essere gradevole e di conseguenza ricercato o contrariamente quanto dovesse essere contenuto e magari relegato a ristrettissimi ambiti della relazione umana.

Qualche giorno fa mi è capitato di riguardare in tv il film Patch Adams, una meravigliosa pellicola sia nella trama che nel messaggio che trasmette. Patch Adams è un film del 1998 prodotto negli USA dalla Universal, liberamente tratto dall’autobiografia di Hunter “Patch” Adams (Gesundheit: good health is a laughing matter ovvero la buona salute è una questione di risate), narra di un personaggio controcorrente che introduce la risoterapia nei primi anni settanta. Mi sono soffermata a riflettere sulla frase pronunciata da Patch/Robin Williams quando dice: “Cosa c’è di così brutto nel morire? Perché non possiamo trattare la morte con umanità?” Alludendo al modo di relazionarsi con una persona in fin di vita. Di conseguenza il paragone con la psicoterapia è scattato istantaneamente … e mi sono chiesta ancora una volta perché durante la psicoterapia ci si difende tanto dall’uso dell’umorismo. Non lo si ritiene importante? La psicoterapia è una cosa seria non una cosa seriosa, ma chi ha detto che non lo è anche l’umorismo?

I benefici dell’umorismo sulla salute psicofisica sono rilevati da numerose ricerche, tuttavia vi è un carente interesse per lo studio circa gli effetti in psicoterapia dell’umorismo; immagino dipenda dal fatto che gli psicoterapeuti siano poco inclini ad inserire volontariamente motti di spirito o humour.

Naturalmente il primo a studiare l’argomento fu Sigmund Freud, il quale ne parlò come un meccanismo di difesa. Di contro, recenti studi sui disturbi ossessivo-compulsivo, l’ansia, le fobie e la depressione, hanno dimostrato l’efficacia di modalità umoristiche da parte del terapeuta come enzima dell’alleanza terapeutica. Negli USA (e dove se no!) è nata l’Association for Applied and Therapeutic Humor AATH che fornisce ricerche e metodi di applicazioni dello humour. La AATH propone una bella definizione dell’umorismo: “Qualsiasi intervento che promuove la salute e il benessere attraverso lo stimolo di una scoperta divertente, l’espressione o l’apprezzamento di assurdità o incongruenze nelle situazioni di vita. Questo intervento può migliorare la salute o essere utilizzato in modo complementare per facilitare la guarigione o il coping fisico, emozionale, cognitivo, sociale o spirituale”.

L’umorismo in psicoterapia è qualcosa di complesso che coinvolge aspetti cognitivi ed emotivi che unendosi tra loro creano un vissuto di divertimento e allegria; naturalmente la percezione dell’umorismo varia in base alla relazione che esiste tra paziente e terapeuta e allo stato psicologico del momento.

Le funzioni che svolge l’umorismo in terapia sono diverse, tra cui:

  1. Assestment. Gli psicoterapeuti devono essere attenti a ciò a cui i pazienti trovano divertente, evitando così battute infelici. Devono richiamare l’attenzione sull’atteggiamento umoristico del paziente, facendolo coscientizzare.
  2. Creare alleanza. L’umorismo può servire per “rompere il ghiaccio” ridurre la tensione di un primo colloquio e alleviare l’ansia di intraprendere un importante percorso. Lo humour autentico, è un facilitatore sociale e connette in modo soddisfacente le persone.
  3. Apprendere prospettive alternative. Fa percepire idee nuove apparentemente inconciliabili.
  4. Ridurre lo stress. L’humour come strategia per modificare il modo di costruire il proprio mondo intrapsichico e relazionale.

Fondamentale è l’empatia che il terapeuta veicola nella relazione con il paziente, l’umorismo funzione a patto che vi sia una seria e non seriosa, relazione empatica; in modo che gli interventi umoristici siano impiegati in modo genuino trasmettendo sincerità e attenzione per il vissuto del paziente.

Naturalmente l’uso dell’umorismo in terapia non è scevro di rischi. Uno dei pericoli più frequenti è che i pazienti non si sentano presi sul serio: il commento può essere stato percepito come inappropriato, insensibile o non essere stato colto.

Anche il terapeuta può commettere l’errore di produrre un umorismo negativo:

–          Commenti umoristici non pertinenti allo scopo terapeutico, in cui lo humour ha il solo scopo di una gratificazione narcisistica del terapeuta.

–          Uso dell’umorismo in modo difensivo, in cui viene spostata l’attenzione da temi più toccanti o particolarmente dolorosi su altri più frivoli e in questo caso il terapeuta si scontra con la sua inadeguatezza nell’affrontare determinati argomenti.

–          Umorismo utilizzato per attaccare il paziente, in cui i commenti vertono a sminuire, svalutare il paziente e sono dettati da sentimenti di frustrazione e aggressività più o meno inconscia.

Condividendo gli ambienti del mio studio con il collega Dott. Pasquale Tarantini è naturale una copresenza durante la quale, dopo le sedute con un paziente in particolar modo, egli mi dica sorridendo divertito: “ Potete tu e Mario (nome di fantasia … anche se lui sa di essere Mario!) ridere di meno?!?!

Avrete capito che uso e mi piace molto l’uso dell’umorismo in psicoterapia … questo non significa che quanto mi piace sia da considerarsi in assoluto efficace, ma sicuramente lo è per me e per le persone che cercano il mio aiuto contornato (quando è possibile) dall’umorismo.

Sono nata e cresciuta in una famiglia in cui si rideva con i film di Totò, in cui si scherzava e si rideva prendendosi in giro senza sentire lo humour un’offesa o uno scherno … ricordo ancora quando con mio padre prendevo e prendo ancora in giro mia madre per il suo “approccio drammaturgico” alla vita, o con mia madre prendo in giro la “precisione e l’eccesso di zelo sartoriale” di mio fratello … ma è con quest’ultimo (naturalmente la sua fidanzata ha una vena umoristica degna del miglior sceneggiatore di film comici!) che si scatena lo humour più dissacrante verso i miei cari e naturalmente verso di me. Non mi spaventa ridere di me, prendermi meno sul serio e magari anche in giro.

Comprensibilmente ho scelto un partner con il quale poter perpetuare questo “modalità umoristica alla vita” e abbiamo cercato con nostra figlia di trasmetterle che ridere è bello, divertirsi ridendo con gli altri è salutare e giocare con l’umorismo non può che alleviare momenti difficili, non a caso il suo miglior amico è un suo compagno di classe con cui ride, scherza e giocano con l’umorismo … spesso l’eros (inteso come aspetto vitale della vita) tra gli adolescenti viene vissuto così. Purtroppo ho notato talora che l’umorismo viene poco usato a scuola dove “bisogna essere maturi!!” I miei teen pazienti “non seriosi e non precocemente adulti”, mi dicono che apprezzano e voglio bene a quei professori che sorridono, che scherzano e che inseriscono lo humour anche nelle spiegazioni delle loro lezioni e a questi, io rispondo con un sorriso di ringraziamento. Essere “seri” non significa essere “seriosi” , si può usare l’umorismo in tutti gli aspetti della vita

Concludo con una frase tratta dal suindicato film: « Ridere è contagioso!
Noi dobbiamo curare la persona, oltre alla malattia
».