Mi sono trovato, durante l’esperienza clinica con le famiglie, ad incontrare problematiche legate alla mancata diagnosi di dislessia e più in generale di DSA (disturbi specifici di apprendimento). Lo schema tipico di queste situazioni e quella del figlio di 7/8 anni, molto provato dall’etichetta di essere un cattivo studente, di non aver voglia di studiare e pertanto costretto  a lunghe maratone di studio, braccato dai genitori. Genitori che come più volte ripeto,  in maniera erronea, si rifanno spesso ad epistemologie punitive di primo ‘900.

Lo schema che si presenta durante la seduta è il seguente:  il papà in maniera talvolta fiera ripete la propria esperienza simile da ragazzo… “dottore anche a me non piaceva studiare, ero come lui e poi ho lasciato la scuola” e la mamma sfinita dai tentativi di aiuto al figlio e dalle incomprensioni con il marito, spesso dovute alle lunghe discussioni sui metodi educativi, si allea al padre nell’etichettare il figlio, pur consapevole degli sforzi fatti dallo stesso nel tentativo di accontentare i genitori.

La dislessia è un disturbo che si presenta in differenti forme e sono diverse le cause da cui può derivare. Uso per tale motivo il termine  «dislessie» per sottolineare la pluralità di cause da cui può originare tale disturbo.

I disturbi specifici di apprendimento (DSA) più soliti sono:

In un soggetto si possono verificare anche più disturbi insieme, si ritiene che abbiano la stessa origine di tipo neuropsicologico e solitamente hanno carattere ereditario.

Come si evidenziava nell’esempio clinico è importante differenziare se il nostro ragazzo presenta  un DSA (Disturbo Specifico di Apprendimento) o una difficoltà scolastica. Idee sbagliate su queste condizioni rischiano di generare confusione.

La percentuale di soggetti con dislessia si aggira tra il 2% e il 3%; il resto dei bambini con diversi problemi nella didattica hanno una difficoltà scolastica o un disturbo della sfera emotiva che si ripercuote sugli apprendimenti, ma non un vero e proprio DSA. Questo viene confermato da tutti quei casi in cui le difficoltà scolastiche e di apprendimento migliorano o si risolvono solo nel momento in cui il lavoro tecnico/logopedico, che agisce in modo specifico sul problema didattico, viene affiancato al percorso psicoterapeutico.

La mancata diagnosi porta il bambino a profondi vissuti di inadeguatezza, che ne condizioneranno non solo il percorso scolastico, ma il più ampio e complesso processo di definizione identitaria. Elemento fondamentale è il poter contare su un adeguato progetto pedagogico, che restituisca alla scuola le sue competenze e la possibilità di intervenire in modo più autonomo, per invertire la tendenza attuale a delegare totalmente all’ambito sanitario la risoluzione della problematica.
Va ridato il ruolo preminente nell’insegnamento pedagogico, soprattuto nel supporto e nella prevenzione di queste situazioni di difficoltà. Ritengo che sia più utile, soprattutto per i bambini, ma anche per il mondo scolastico, individuare dei percorsi pedagogici mirati nella scuola, per affrontare e risolvere i problemi all’interno.
Il lavoro passerà quindi ai docenti che devono recuperare e affinare gli strumenti necessari per affrontare e risolvere quelle che sicuramente sono difficoltà scolastiche.
In ogni caso mi sembra fondamentale riconoscere la presenza del disagio emotivo in tutti questi bambini, infatti nella raccolta anamnestica questi stati psicologici nella maggior parte dei casi sono presenti prima dell’ingresso scolastico, e prevedere così la situazione di comorbidità con i disturbi d’ansia e della sfera emotiva, in modo da cambiare l’approccio giudicante e squalificante che spesso viene riservato ai bambini che incontrano difficoltà a scuola, e facendo sì che la proposta terapeutica sia più completa.

Genitori, insegnanti, nonni che notino difficoltà devono attivare la pediatra, con l’invito ad un invio presso il centro di neuropsichiatria infantile o privato specializzato, dove con alcuni test è possibile avere il quadro diagnostico e poter partire con un proggetto, come si diceva prima, mirato a supportare le difficoltà.

Alcuni genitori, erroneamente, pensano che i DSA possano diventare etichetta invalidante per il proseguo scolastico e sociale del bambino. E’ un errore lecito per chi ignora, per chi non ha conoscenze, ma è un errore che spesso blocca il percorso di aiuto al bambino/ragazzo diventando un grave vincolo alla salute dello stesso: gli operatori hanno il compito di spiegare che non si tratta di disturbi psichiatrici e invalidanti, che invece con un percorso di supporto, questi ragazzi  nel tempo recuperano e raggiungono risultati scolastici in media (a volte superiori) a quelli di persone senza disturbo.

Esempi di persone affette da DSA:

Carlo XVI – attuale Re di Svezia
Carlo Magno
Cher (Cantante)
Muhammad Ali (alias Cassius Clay) (pugile)
Harry Bellafonte (cantante)
Napoleone Bonaparte
Hans Christian Andersen (Scrittore)
Winston Churchill
Tom Cruise (Attore)
Leonardo da Vinci (probabilmente)
Albert Einstein (Scienziato)
Walter Elias Disney (Walt Disney)
Henry Ford (Imprenditore)
Galileo Galilei
Whoopi Goldberg
Anthony Hopkins
John F. Kennedy
William Lear (inventore)
Isaac Newton (Fisico)
George Patton (Generale)
Nelson Rockfeller (Imprenditore)
Lee Ryan (cantante)
Quentin Tarantino (Regista)
George Washington (Primo presidente degli Stati Uniti)
W.B. Yeats (Poeta, premio Nobel per la letteratura nel 1923)

Le persone elencate hanno tutte un QI nella norma o addirittura superiore, questo significa che i dislessici non hanno un ritardo cognitivo ma , semplicemente, possiedono un modo diverso di apprendere rispetto a quelli che sono i canoni della maggior parte delle persone.